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Om nella Visione Sacra


Om nella visione Sacra

di Giuliana Viel

Trascendere Om nella visione sacra - Pranava Om .

La nostra esistenza si svolge in modo scomposto sospinta da stimoli che di volta in volta ci troviamo ad accogliere; ci affacciamo all’esistenza profana con un carico di significati già costituiti e portati in essere dal nucleo famigliare o sociale nel quale ci troviamo a vivere, che di conseguenza spesso diventano anche nostri. Impariamo a conoscere da ciò che ci viene insegnato e mostrato, e ciò a cui si guarda in Occidente è la manifestazione materiale separata dalla condizione sottile che la accompagna e la precede. Separata nei principi e nelle forme, non è chiaro fin da subito se la vita ha uno scopo, di quale scopo eventualmente si tratta, e di conseguenza, non sono chiare le tappe di fronte alle quali ci troviamo, non le riconosciamo come tali, né tanto meno siamo in grado di riconoscere quali sono gli strumenti che ci vengono dati per superare le difficoltà che incontriamo. Manca in sostanza l’idea di una esistenza collocata all’interno di un processo più ampio, di cui ciò che vediamo è solo una piccola parte. Viviamo una realtà separata e incompleta, ed è proprio questa latenza così ricca, confrontata con una dimensione materiale così povera, che l’individuo percepisce intuitivamente come parte mancante. E’ proprio a causa di questa mancanza che intraprendiamo il nostro pellegrinaggio lungo l’intero corso della vita alla ricerca dei significati.

R. Guenon dice: “Se l’individuo fosse un essere completo, se costituisse un sistema chiuso, la conoscenza metafisica non sarebbe possibile, non avrebbe nessun mezzo per conoscere ciò che non è contenuto nell’ordine di esistenza al quale esso appartiene”.

L’individuo che si trova chiamato a vivere non riconosce quindi la vita stessa come il risultato di un primo grande bivio, se non attraverso la paura della non esistenza, cioè della morte, e non riconoscendo la vita come una delle due possibilità, sente il limite della propria esistenza come la cosa a cui guardare, e perde di vista la vita come insieme di possibilità. Ciò che conduce e spinge, dicevo, è un senso di insoddisfazione, di non pienezza e limitazione, osserviamo la realtà che ci circonda e poi torniamo a noi stessi, confrontando ciò che vediamo appartenere ad altri, con ciò che pensiamo manchi a noi stessi, a volte proviamo invidia, a volte vergogna. Ma da cosa è dato il mondo nel quale ci muoviamo, che cosa produce la realtà per come la vediamo, che cosa agisce, e cosa è agito, cosa crea questo mondo visibile, e attraverso quale lente guardiamo il nostro mondo, e il mondo più in generale? Questo modo di leggere l’esistenza a partire da ciò che c’è, senza considerare ciò che non c’è, senza un legante che ci permetta di unire le parti, senza che una neghi l’altra o senza che una prenda il sopravvento sull’altra, crea dentro di noi l’idea di una esistenza separata, e in eterno conflitto dove una parte agisce contro l’altra senza che ci sia conciliazione.

Panikkar in “L’esperienza della vita” dice che l’esperienza mistica non è completa se non abbraccia tutta la realtà, ma osserva anche che la realtà non è completa se la si riduce. Questa separazione si avverte, sia che si assuma come dato di partenza l’esperienza “mistica”, sia che si assuma come osservazione il dato di realtà, vale a dire che questa separazione di cui parlo è una separazione trasversale che abbraccia tutti i piani della realtà materiale e spirituale e che è superabile solo attraverso la ricerca di un ordine sacro che riconduca all’armonia per gli uomini e per le cose. Così recita la Bhagavadgita: Il Beato Signore disse: Si parla di un fico sacro imperituro le cui radici sono in alto e i rami in basso, le cui foglie sono i metri vedici. Colui che lo conosce, conosce i Veda. I suoi rami si estendono verso il basso e verso l’alto; essi crescono a partire dalle qualità, hanno per germogli gli oggetti sensibili. Verso il basso le sue radici, trascinate dal legame degli atti, si prolungano nel mondo degli uomini.

Come possiamo interpretare questa scrittura?

L’albero viene utilizzato spesso nelle scritture sacre in tradizioni diverse perché attraverso i suoi tre elementi costitutivi: radici, fusto, rami, rimanda ad una rappresentazione unitaria del cosmo. Dove i mondi di sotto, di mezzo e di sopra sono collegati in un continuum non separabile. In questa immagine specifica l’albero è capovolto, mantiene le proprie caratteristiche unitarie, ma le radici sono rivolte verso l’alto: cioè verso il cielo a simboleggiare il luogo di provenienza e l’ordine discendente della manifestazione, così come la natura e la direzione che le esperienze assumono nel momento in cui dopo essere state enucleate nell’idea attraversano il mondo sensibile e diventano possibilità. Da questo momento gli esseri umani guardando agli oggetti sensibili attraverso gli organi di senso deputati a trasferire l’esperienza in un ambito riconoscibile e con le qualità e gli attributi, che sono loro propri, possono compiere atti: azioni, che muoveranno altri atti: reazioni verso il mondo e le cose promuovendo nuovamente salite o discese di rami, cioè di informazioni, o condizioni. Per quanto lontano possiamo trovarci dall’idea di un unico ordine di creazione ed emanazione e per quanti sforzi facciamo per sostenere una cultura atea e autoreferente, dobbiamo ammettere che le rappresentazioni del cosmo, che l’uomo ha individuate, sono molte e ha sentito di ricercare e di rappresentare tanto, da farci percepire il nostro bisogno, che è rimasto immutato nel tempo, di un padre, di radici, di un ordine superiore, di un significato.

 Swami Sri Yukteswar dice: “Quando, sia pure per inferenza, l’uomo comprende la vera natura della creazione e il vero rapporto che esiste tra la creazione e se stesso; quando si rende conto di essere completamente accecato dall’influenza delle Tenebre, Maya, e che è solo la schiavitù delle tenebre a fargli dimenticare il suo vero Sé e a causargli ogni sofferenza, egli vuole istintivamente essere sollevato da tutti questi mali. La liberazione è lo stabilirsi di Purusa (jiva, l’anima) nel suo vero Sé.” Ma se l’uomo è totalmente accecato ed è dentro il proprio limite, bloccato dalla propria limitazione, come può affacciarsi per conoscere la vera natura delle cose, come può a partire dalle condizioni che lo definiscono uscire dalla condizione soggettiva individuale?

 Guénon a questo proposito dice che l’intelletto trascendente, per afferrare direttamente i principi metafisici, deve essere esso stesso di ordine universale. Non può entrare nelle facoltà dell’individuo superare i propri limiti.

E dice ancora: La conoscenza metafisica non è una conoscenza umana, non è in quanto uomo che l’uomo può giungere ad essa, ma in quanto questo essere, che è umano in uno dei suoi stati, è nello stesso tempo qualcosa d’altro. “Credetemi: io sono il Padre e il Padre è in me”.

Giovanni, 14, 11

Questo qualcosa d’altro rappresenta la chiave di volta, ciò che permette a ciò che non è di essere, che permette ad un sistema apparentemente chiuso di essere contemporaneamente chiuso e aperto.

 Cosa permette ad un individuo chiuso nelle caratteristiche che gli sono state date dalla sua condizione di appartenenza, di evolvere o essere qualcosa d’altro? La possibilità di ascoltare, di interagire con il mondo circostante e con il mondo che egli stesso contiene, quindi ascolto, osservazione e riflessione. Non è casuale che la parola (il suono) nelle culture tradizionali e nelle sacre scritture rivesta un ruolo centrale nella rivelazione divina e che la conoscenza venga tramandata attraverso la narrazione orale. “Così parla l’Amen, il testimone, fedele e verace, il Principio della creazione di Dio….Ecco, io sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui, ed egli con me”. Apocalisse, 3, 14-20e ancora: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il verbo era Dio…..Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste….. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Quindi la parola (il suono) diventa Principio creatore in quanto era presso Dio, era Dio stesso, e nella visione sacra il suono è l’inizio e la fine di ogni cosa, così come recita la Scrittura. E la rivelazione divina affidata all’ascolto di chi può udirla direttamente ha preminenza rispetto a tutto ciò che sulla rivelazione e stato scritto o riportato indirettamente e questo a causa della natura particolare del verbo che si palesa.E’ un suono che proviene dal non tempo, dal silenzio, che è inizio e fine di ogni cosa, che dà origine alla materia, quindi crea sostanza, questo verbo ha bisogno per essere udito e amplificato di un portavoce attendibile, che sia in grado di far vibrare nella propria materia-carne il verbo, diventando così testimonianza vivente.Questo era il ruolo dei profeti e dei santi, che con la loro esistenza stessa promuovevano e annunciavano il Principio creatore: “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla Luce, perché tutti credessero per mezzo di lui” (Giovanni, 1, 6-7)Ciò che rende possibile il trasferimento o lo spostamento da una condizione ad un’altra, da uno stato ad un altro, ciò che attraverso l’espansione-contrazione-risonanza lascia intendere o percepire ciò che è prospiciente, attiene all’ambito delle possibilità e rappresenta il tramite attraverso cui è possibile intuire ciò che è non espresso o virtuale, cioè la sostanza non separata dall’essenza.L’essere umano non separato dalla sua possibilità trascendente, che comincia il suo cammino verso la realizzazione metafisica, può attraverso l’identificazione con qualcosa di diverso da sé conoscere il Brahman.Om nella tradizione sacra indiana rappresenta questa possibilità conoscitiva “Om è tutto ciò che è”. Se om è tutto l’universo passato presente futuro, è anche ciò che è al di la del tempoIn “Figure di pensiero” G. Pasqualotto scrive:Dal punto di vista fisiologico la pronuncia di AUM comincia con quella della A, eseguita a bocca aperta, iniziando dalla parte più bassa del cavo orale; prosegue con quella della U, eseguita a bocca semichiusa, iniziando dal centro del palato; termina con quella della M, fatta a labbra chiuse. Poiché tutti gli altri suoni nascono dalla cavità orale all’interno di queste tre posizioni, l’AUM funziona come espressione di massima sintesi, oltre che dal punto di vista del significato e del significante, anche dal punto di vista fonetico.Om rappresenta quindi la sintesi, ma anche il tramite che dalla condizione esistente porta al superamento e alla dissoluzione. A ben guardare anche nella struttura del corpo generalmente intesa e nella specificità di alcuni suoi particolari ritroviamo le stesse indicazioni e gli stessi riflessi di percorso.La cavità orale, ricorda nella sua conformazione una caverna, stessa forma che si ritrova al di sotto della cassa toracica dove il diaframma alzandosi e abbassandosi allarga e dischiude, nel sospingere i polmoni verso l’alto, i lembi di un’altra caverna, il diaframma, e nella sommità estrema del corpo ritroviamo la calotta cranica, all’interno della quale vi sono i due emisferi cerebrali collegati da un ponte che li unifica. Al centro passa un condotto che attraversa tutta la colonna vertebrale e che nelle sue due estremità comunica con ciò che sta fuori attraverso muladhara chakra e sahasrara chakra, il do e il si della scala musicale.Ora la simbologia della caverna si ritrova fra i simboli della scienza sacra parallelamente al labirinto, l’uno come luogo dove avviene l’iniziazione alla conoscenza e l’altro come percorso o cammino che conduce alle prove preliminari di detta iniziazione o che distoglie i profani che a causa della propria condizione samsarica non sono qualificati ad accedervi (per approfondire questi aspetti della simbologia possiamo far riferimento a Guenon Simboli della Scienza Sacra).Sotto la calotta-grotta cranica troviamo le volute cerebrali, e sotto quella diaframmatica le volute intestinali, le une e le altre molto simili nella forma al labirinto.La cavità orale potrebbe in questo contesto rappresentare il luogo di trasformazione e di fusione dei due aspetti, quello sostanziale collocabile fisicamente sotto la cassa toracica, e quello essenziale identificabile con ciò che sta al di sopra di anahata chakra, il luogo del cuore.Se il nostro involucro non è che la rappresentazione dei diversi modi e dei diversi stati della manifestazione, tutti gli stati della manifestazione sono presenti a diversi gradi di realizzazione ed è attraverso il sensorio che li possiamo attraversare, come recitava il passo della Gita ( Sui germogli negli oggetti sensibili).





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