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Viaggio a Tavertet


panikkar

Quando si è presentata la possibilità di un incontro a Tavertet con Panikkar, penso che nessuno di noi sapesse cosa aspettarsi da quell’incontro che pareva così particolare e inaspettato. Tutto il viaggio si è sviluppato intorno a questa sensazione inspiegabile e non dichiarata di incontrare quest’uomo, che ha fatto della sua vita la testimonianza vivente di che cosa significa dialogo interreligioso e di come la fede sia ciò che permette che questo dialogo avvenga, senza altri scopi se non quello di testimoniare a nostra volta quanto questo avesse significato per noi.

La sera prima avevamo persino accennato ad uno scambio di idee sui passi fondamentali di un suo testo che alcuni di noi avevano letto e studiato, formulando ipotesi sulle domande o le riflessioni che ci avrebbero permesso, forse, minore disagio di fronte alla nostra inadeguatezza nel trattare temi così fondanti.

Il timore di non sentirsi stupidi conduce spesso ad agire la stupidità e il desiderio di essere all’altezza di una testimonianza, fa diventare ancora più stridenti le frasi, le parole, i comportamenti.

Non è stato necessario nessuno sforzo, la semplicità umana di Panikkar ci ha condotto, il suo sguardo e i suoi gesti, mentre indossava il cappellino da passeggio che avevamo portato come dono, il suo mettersi in posa per mostrare l’apprezzamento per quel dono che non era nulla se non il desiderio di dire: ”abbiamo pensato a te, volevamo che stessi caldo“, e di nuovo il suo dire: “se avessi avuto questi guanti che mi avete portato forse non sarei caduto o mi sarei fatto meno male cadendo.”

Ogni volta che nella mia mente si affacciava l’ombra di una domanda le cose ci riportavano di nuovo alla relazione; "ma ditemi, raccontatemi di voi, da dove venite, cosa fate“.

Si percepiva questo interesse costante per noi, che stavamo lì di fronte a Lui in ordine sparso, seduti ovunque in quello studiolo posto al secondo piano della sua casa, studiolo dove per lui ultimamente, doveva essere difficile recarsi così come venirne via, faceva fatica a stare seduto e allo stesso tempo soffriva nello stare in piedi.

Ogni tanto con una forma di estrema umiltà, si scusava per la sua irrequietezza;il dolore lo portava a doversi muovere continuamente, e mi ha mosso un profondo senso di rispetto quel suo modo di chiedere scusa per quella che sembrava essere dal suo punto di vista una piccola pausa come un distacco non voluto, non desiderato che toglieva apparentemente continuità allo scambio che stava avvenendo.

Ma, per me proprio quella elegante compostezza, ha significato più di quanto detto, le frasi scorrono si dimenticano, non così per le sensazioni e per quello che ti si muove dentro, quando vedi un uomo che affaticato e dolorante ha ancora tempo, e occhi e cuore per degli emeriti sconosciuti, per dei pellegrini che hanno il solo merito di essere capitati li, e per questo solo fatto si sono sentiti considerati come meritevoli del suo tempo e della sua attenzione.

Usciti da quella casa di Tavertet nessuno di noi aveva voglia di interrompere la sensazione di quel saluto, non ci sono state parole, gli sguardi erano bassi, e nel cuore una grande commozione ha invaso tutto lo spazio che era stato reso libero. Ho avuto per un momento il desiderio di tornare indietro per chiedere un abbraccio, ma mi sarebbe sembrato di portare via più di quanto, ed è stato tanto, avevo ricevuto. Grazie… un pensiero di amore ti accompagni là, dove sicuramente già sei.





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