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MASSERANO Seminario del 07-08/07/2007

E' possibile contattare l'essenza attraverso incontri fortuiti e seguendo sentieri accidentali. Alcuni perseguendo il proprio talento sono arrivati a percepire la loro essenza, spostando successivamente l’attenzione dal ‘realizzato’ al ‘percorso della realizzazione‘. Senza che questo sia evidente a priori, quel che accade è di pensare al mero utilizzo di uno strumento esterno per poi trovarsi nel tempo, ad aver trasformato in sé, qualcosa di più profondo. A proposito di questo è interessante questa parte dove Fischer dice:

" lavorate prima su voi stessi, andate a sentire alcune parti, a riportare in essere e a ravvivare ciò che dentro di voi è creativo e che quindi attinge alla natura profonda e se proprio non ce la fate a tirar fuori dalla vostra esperienza qualche cosa di unico e di utile per voi non preoccupatevi perché comunque voi potete mettere la vostra esperienza, la vostra essenza, a disposizione di qualcosa che è già stato creato. "Questo passaggio mi era diventato chiaro ai tempi in cui frequentavo l’accademia, era molto interessante vedere questo processo di avvicinamento all'arte attraverso la copia di quelli che erano considerati maestri, prendendo quindi come riferimento la parte più alta dell’espressione artistica, perché si percepisce nell'osservazione dei grandi, che è avvenuto un contatto con qualcosa di essenziale, chi arriva ad esprimere in maniera compiuta l’essenza dell’arte è stato in grado di attingere a qualche cosa di straordinario. Prendendo come riferimento la parte più alta dell’esperienza è possibile anche per noi, arrivare ad attingere alla stessa ispirazione, abbiamo un'indicazione su come arrivare a quel risultato:

"quindi nella nostra arte noi ci serviamo della più smaterializzata delle sostanze, quella che non possiede già più nessun legame con la Terra, la vibrazione - cioè partendo dall’esperienza umana si sposta nella ‘pausa’ cioè nella vibrazione - e dice anche - ma anche questa vibrazione ha bisogno di essere formata ed elaborata - quindi anche se andiamo ad attingere nella parte sottile e più smaterializzata dell’esperienza dobbiamo formarla questa esperienza, perché dice - il cammino che porta all‘archetipo - quindi il processo che noi mettiamo in atto per arrivare a quella fonte prima - è lungo, c’è il rischio che si perdano delle parti in questo percorso. Per questo dobbiamo lavorare su noi stessi, per dare alla nostra esperienza il massimo delle possibilità, sapendo già che alcune parti non le raggiungeremo e non le realizzeremo perché siamo degli strumenti imperfetti, però affinando sempre più questo strumento, avendo come riferimento l’aspetto più alto dell’esperienza, dandoci degli strumenti che siano strumenti immateriali, mettendo insieme tutte queste parti, è più facile che noi si possa realizzare la nostra esperienza nella maniera più pura. Riprendendo nello scritto si dice:

“ lascia allora che la corrente delle tue energie irrompa nella tua vita, nelle tue azioni, nella tua arte, e crea secondo la tua fantasia” - ma dice anche: metti a disposizione, se non riesci a creare, metti a disposizione la purezza della tua energia perché comunque qualche cosa arriva nel momento in cui ti metti in questa condizione.”

Vi ho proposto questi frammenti di lettura perché straordinariamente coincidono con ciò che io cerco di fare. Cerco di farlo in un altro ambito, ma è esattamente questo il processo. Quindi abbiamo detto che, tornando al bilancio e alle considerazioni sul nostro lavoro, quello che noi cerchiamo di fare è rendere il nostro contenitore il più trasparente possibile,in modo da realizzare la purezza. Cerchiamo di sgrossare, di togliere i limiti, di togliere le rappresentazioni inutili, di liberare questo fiume che scorre dentro noi, tanto da permettere a questo fiume di arrivare in superficie.

Il dolore che a volte è nel prossimo, è relativo a questa incapacità di ascoltarsi per percepire le proprie potenzialità, e senza consapevolezza non è possibile trasformare queste potenzialità straordinarie, in realtà, le persone si perdono e spesso si perdono, in aspetti davvero poco importanti della propria personalità. Questo a me crea una condizione di dolore nel senso che, tornando all’aspetto dell’egoismo a cui abbiamo fatto riferimento in altre circostanze, la pienezza della felicità è possibile solo quando ci si rende conto che, la realtà che attraversiamo è una realtà condivisa, grazie a questa realtà condivisa riusciamo a specchiarci in tanti frammenti di uno stesso principio.

La connessione dei frammenti unisce il principio di realtà, rendendo l’esperienza individuale estremamente lucida e costante.

Quello che contrariamente accade, proprio a causa di questa difficoltà, è che ci siano delle interruzioni, e si creino delle spaccature ampie, nonostante i momenti di condivisione molto intensi, molto belli, poi si attua una caduta, una stagnazione, una involuzione.

Sembra, a quel punto di non aver realizzato nulla, c’è il ritorno ai vecchi meccanismi, ai vecchi circuiti, un attimo di luce, poi di nuovo la caduta e il buio.

Le cadute, credo, siano responsabilità individuale nel senso che, noi possiamo lavorare insieme e intravedere la via, e la dimostrazione del fatto che intravediamo la via è la qualità che riusciamo ad esprimere in alcuni momenti, poi però quella vibrazione, che è la vibrazione del corpo eterico, deve essere in qualche modo sostenuta da una qualità dell’esistenza che ognuno deve coltivare nella sua vita di tutti i giorni, se non c’è questa attitudine a coltivare la qualità continuamente, c’è il ristagno, l’involuzione, l’energia si perde o la realizzazione si perde in una serie di circuiti di dispersione,che poi saltano.

Tu arrivi a intravedere grazie all’esperienza una condizione di pienezza, sei nella tua sacralità, sei nell’essenza e poi torni, a causa di un tuo pensiero circolare, in una modalità di comportamento, in un’ emozione, o in un atteggiamento deviato. Insomma, torni ad alimentare una parte secca del fiume, un ramo in disuso, o una deriva.

Nel momento in cui abbiamo iniziato a vedere, abbiamo iniziato a percepire qual è la qualità che possiamo esprimere nella condizione di pienezza, dobbiamo scegliere, sappiamo che entrando in alcuni meccanismi, in alcuni circuiti alimentiamo la parte dell’inconscio, che corrisponde alle frange deteriori della nostra esperienza- dicendo a noi stessi dei no, quindi non entrando nelle derive, decidiamo di stare in una visione stabile e non fluttuante.

Volevo fare delle puntualizzazioni relativamente alla caduta, e alla condizione di morte di cui parlavamo, intendendo per morte non la morte del corpo fisico , ma dell’aspetto che ha a che fare con l’abbandono dei propri meccanismi e di quelle parti che da sempre ci riconoscono e ci fanno riconoscere.

La morte iniziatica

Questa questione della morte iniziatica se non è un’esperienza reale, ma una rappresentazione intellettuale, non può essere capita. Che cos’è nella mia esperienza la morte iniziatica? E', come dire, la rottura del velo del conosciuto. Morte è quando si riesce a strappare il velo delle abitudini e consuetudini, delle tue contingenze, delle tue rappresentazioni e si riesce a vedere e vedersi da un’altra prospettiva, all’interno di una visione più ampia, spostandosi rispetto all’assetto consolidato. Non si possono che dichiarare morte, dentro e fuori di te tutte quelle rappresentazioni che prima erano in essere. Per morte s’intende morte alla condizione dell’apparenza, perché, noi non siamo quello che immaginiamo di essere, siamo, per fortuna, qualcosa di più alto, di più complesso, di più sofisticato, di più interessante, solo che questo aspetto più sofisticato e più interessante non è a disposizione, bisogna andarlo a scoprire, bisogna permettere a questa parte di riemergere. Tutto ciò che in qualche modo è facile, non dico semplice, è facile, alimenta l’ordinario. Per attingere a qualche cosa di unico, di essenziale, dobbiamo attingere allo straordinario, e straordinario può anche essere un gesto estremamente semplice, non facile, semplice. La facilità è la condizione che noi scegliamo sempre di fronte ad una situazione, di fronte a una fatica decidiamo di non farla, di fronte a una rinuncia scegliamo di non rinunciare.

Ritornando alla questione della creazione: creazione è attingere alla fonte. E' come se immaginassimo la nostra esperienza come un’esperienza strutturata,(per strutturata intendo con strutture), che vanno dall’interno verso l’esterno, e ciò che noi viviamo è la struttura esterna, la rappresentazione esterna della struttura, ed è quella che agisce continuamente nel vissuto e agisce sia dall’interno verso l’esterno che dall’esterno verso l’interno, cioè le persone si abituano a immaginarci in un determinato modo, e in virtù di quella immagine noi rispondiamo e quindi ci ripresentiamo sempre con quell’immagine, gli altri non permettono a noi di cambiare e noi non permettiamo agli altri di vederci con una luce diversa. Per morte si intende anche l’interruzione di questo meccanismo, meccanismo che non è interessante, che però serve a mantenere lo stato, la condizione conosciuta, se ognuno di noi interrompesse questo patto non scritto, ci sarebbero delle accelerazioni importanti ed è uno dei motivi per i quali il cambiamento fa paura, perché è come non sottoscrivere più un patto e quindi diventare imprevedibili, non essere più lì dove gli altri ci avevano lasciato, questo spiazza molto .Alle persone non piace trovarsi di fronte a delle sorprese, e quando si accorgono che tu tenti di spostarti loro cercano di rimetterti dov’eri, perché questo è più facile gestire lo schema conosciuto.

L’unico modo che abbiamo per spiazzare gli altri, ma soprattutto per spiazzare noi stessi, è quello di darci la possibilità di vivere, trovando soluzioni nuove a problemi vecchi, cercando canali di comunicazione non scontati. Tornando alla facilità: è più facile continuare a rispondere in maniera meccanica, botta e risposta, tu sai che l’altro si comporterà così, gli hai già dato una classificazione, un’etichetta, non devi più elaborare nessun dato, e quindi questo gioco delle parti, può continuare ad oltranza. Noi però abbiamo la possibilità di utilizzare il libero arbitrio, quando? Solo quando abbiamo diradato o allentato la struttura che ci siamo costruiti. Solo allora possiamo cominciare a vederci e a considerarci come esseri con delle possibilità.

Quando le risposte e i comportamenti non sono più meccanici, iniziamo ad avere comportamenti più consapevoli e quindi anche più profondi, più interessanti. La stessa cosa accade nella pratica, quando io creo la condizione per fare delle esperienze molti queste esperienze o le fanno in maniera superficiale o si astengono. Il non fare l’esperienza è dato non tanto e non solo dall’incapacità o dall’impossibilità di entrare in una dimensione che si è palesata , ma è dato soprattutto dalla paura che ognuno ha di rompere il velo. Continuiamo a dire che cambiare è difficile ma è difficile soprattutto perché quest’idea di morte è sempre un’idea presente, anche il cambiamento richiama dentro di noi in maniera molto forte l’idea di morte, e siccome noi ragioniamo e sperimentiamo ed emozioniamo per archetipi, tutto ciò che direttamente o indirettamente si ricollega ad un principio in maniera così diretta richiama dentro di noi l’emozione relativa. Quindi una parola diventa una parola chiave e ne richiama molte altre, facendo scattare il meccanismo di blocco. Tutti noi sappiamo che prima o poi dobbiamo morire, ma e proprio per questo, ogni volta che c’è la possibilità di morire, nel senso di lasciare andare delle cose, non lo vogliamo fare, ci attacchiamo alle parti che conosciamo, magari anche che non ci piacciono, che abbiamo già deciso che non ci piacciono, pur di non provare il dolore del rilascio. Il dolore del rilascio è l’abbandono, è l’idea appunto di caduta, di sospensione, la stessa sospensione che c’è nella pausa del respiro, in quella sospensione io posso scegliere in quale direzione andare. Noi non ci tratteniamo mai in quella pausa, come non ci tratteniamo nel silenzio, come non ci tratteniamo nella sospensione perché quella pausa, quella sospensione è difficile da gestire, richiama troppo da vicino il suo archetipo.

G.domanda: Questo fatto di essere e non essere, questa doppia situazione, a cui spesso ci hai richiamato, non so, mi sembra nella mia breve esperienza recente, che quando arrivo a vedere il mio non essere quindi il pieno di possibilità è come se pensassi di perdere la mia individualità, tu ci hai detto tante volte questo concetto e ne ho fatto un minimo di esperienza, e adesso vedendola non la vedo più come un’unità e allora ne ho meno paura, però per me penso che sia questo il problema, che non mi vedo più come individuo, cioè quello che tu dicevi, gli altri mi rispecchiano, lo vedo come un passo in più e ho paura di non essere più, di perdermi insomma nell’insieme degli altri, ma neanche degli altri forse allontanarmi sia da me che dagli altri, un minimo di valenza in più rispetto a quello che - uno mi vuole così perché gli fa piacere - e - io mi voglio così perché è più facile - non so spiegarmi.

Risposta:

Ho capito perfettamente quello che vuoi dire, si questo è sicuramente uno degli aspetti che compongono quel sentimento di paura. La differenza è la stessa che corre tra muoversi sulla circonferenza e muoversi lungo la polarità di un raggio. Tu hai queste due possibilità, il muoverti sulla circonferenza è ciò che continuamente ti fa spostare, e l'altro si sposta di conseguenza, continuando questo gioco di riflessi agiti fino alla risoluzione. Oppure ci si rimbalza all'interno di una divisione polare della stessa realtà, il rimando costante di riflessi di una stessa immagine scissa nei due opposti. Ma sia l’una che l’altra modalità sono degli aggiustamenti. Noi dovremmo muoverci verso la centralità, il centro è stabile ed è immutabile , non si rapporta con le rappresentazioni del mondo, ma con l’esistenza intera.

Torniamo a porre l’attenzione sul quel passaggio dove Edwin Fischer dice:

"E quando avrai accolto in te queste immagini lascia che la corrente delle tue energie irrompa nella tua vita, nelle tue azioni, nella tua arte, e crea secondo la tua fantasia… e l’immagine della tua bellezza, della tua grandezza, del tuo amore e del tuo lutto, della tua speranza e della tua gioia sarà meravigliosamente luminosa e fruttuosa. E tu sarai un creatore."

E poi ancora.:

"Un uomo che crea in stato di grazia è divino.

Quando un giovane principiante si pone la domanda: come, da dove gli antichi maestri trassero la forza per giungere alla loro perfezione. Quando un artista arrivato guardandosi indietro cerca le cause del suo divenire la risposta sarà sempre la stessa, dalla vita ricca e piena sia interiore che esteriore si produce lo sviluppo, si crea la forza spirituale artistica. L’arte è lo specchio della vita su di un piano più elevato, dove ciò che è casuale e secondario scompare per seguire una legge occulta per l’occhio profano. Di un‘intima bellezza che è nello stesso tempo verità, così arte e vita non sono due cose distinte, ma una unita. Tutto ciò che avviene è trasformazione, un eterno divenire e passare. Eppure sembra che la natura voglia spezzare questo ciclo eterno e cerchi di vincere la morte col creare sempre nuove generazioni, sempre nuovi tipi di forma più elevata ma anche l’uomo così familiare con tutta la bellezza che vede scompare e passa come se l’anima portasse in sé il lieve ricordo di una patria lontana, perduta, il suo spirito ricerca qualche cosa al di là della morte e in questa nostalgia - della nostalgia ne abbiamo parlato spesso - la nostalgia è proprio quella sensazione di qualcosa di cui abbiamo idea in una parte di noi altrimenti non proveremmo nostalgia, e che non viviamo nella realtà contingente. Quindi la nostalgia è questo preludio. E in questa nostalgia dell’eterno crea valori artistici, religiosi, spirituali, irradia la sua luce sul presente e sull’avvenire e sopravvive in tal modo al suo breve passaggio sulla terra.

Quindi è come se quella condizione di nostalgia che ti permette di creare mantenesse viva l’eternità perché continuamente l’annuncia, la riattraversa, l’annuncia, la riattraversa, l’annuncia, e rimane questa condizione. E’ la nostalgia dell’eterno.

Come noi uomini costruiamo il nostro corpo fisico, lo esercitiamo per farne uno strumento docile, adatto a eseguire la nostra volontà, così noi musicisti costruiamo la nostra tecnica, ciò che possiamo e sappiamo. Impariamo i movimenti delle dita, della mano, del braccio, impariamo a leggere le note, impariamo il senso del ritmo, tempriamo la memoria, ascoltiamo artisti, studiamo sui dischi, confrontiamo edizioni, lasciamo che la musica giunga a noi per radio. Ma tutto questo non è di fatto decisivo, il fatto ultimo, il segreto, è la vita, l’eterna generatrice."

La cosa che continua a tornare è in sostanza che la vita è un esercizio, attraverso la vita che è un esercizio ti tempri e attingi alle qualità , attraverso le caratteristiche del tuo essere rianimi continuamente i tuoi semi e i tuoi talenti, ripetendo atto creativo, dopo atto creativo abbozzi lo sviluppo potenziale dell’esistenza, reinterpretando attraverso questa costante nostalgia, un costante richiamo dell’eterno.

“L’uomo è costituito in modo così meraviglioso che i più delicati organi atti a ricevere questi segreti sono accuratamente nascosti e per la maggior parte fuori dell’uso. Solo in rari casi il ricevitore si trova in noi sulla giusta graduazione d’onda di quella scala infinita che porta all’essenza delle cose. Bisogna stare molto in silenzio, estraniarsi dal mondo chiassoso, poi giunge all’improvviso un suono, una parola, il richiamo di un uccello, uno sguardo, il movimento di una mano, ed ecco la comunicazione, la rivelazione.”

Quindi la rivelazione anche qui avviene nel silenzio, nella pausa, nell’osservazione, nella contemplazione, e attraverso l’intuito che è l’organo di senso sensibile, arriva.

L’eterna lotta tra la personalità e l’essenza.

C‘è una parte fondamentale nel lavoro che andiamo a costruire ed è quella del lavoro individuale, cioè quella che permette di colmare le distanze tra i picchi, tra i picchi della creazione, picco nel quale tu sei interprete inconsapevole e il picco della personalità dove ripeti in maniera meccanica l’esperienza che conosci.

E' opportuno fare in modo che questo divario si colmi attraverso l'osservazione, che col tempo si trasforma in consapevolezza funzionale al conoscere in senso lato, ed a riconoscere nello specifico, i picchi di creazione, cercando di avvicinare sempre di più l'immagine riflessa di ciò che sei, a quella possibilità, in modo che quel picco non diventi l’eccezione, ma diventi sempre più, la possibilità del ritorno.

Diversamente, se noi riusciamo ad esprimere una qualità alta solo nel momento in cui ci sperdiamo in un atto creativo senza accorgerci di ciò che stiamo esprimendo, non solo non riusciamo a ripetere il momento della phronesis,ma non riusciamo neanche a gioire assaporando quella qualità, a riconoscerla,quindi lo sforzo diventa inutile. Quando possiamo dire che ciò che abbiamo vissuto o prodotto ha un senso, quando ci accorgiamo della valenza di quella qualità e incominciamo a desiderarla, incominciamo a voler vivere l’attitudine che conduce verso quella qualità. Questo è il lavoro personale: colmare il divario estraendo dal cilindro delle nostre possibilità tutte quelle attitudini, tutti quei talenti che sono sopiti, rafforzando la volontà di perseguirli in modo che, ognuno di questi, diventi possibilità di innalzamento e di trasformazione. Questo compito così difficile, non possiamo compierlo da soli, dobbiamo avere qualcuno che ci aiuti nel gioco delle riflessioni, che si tratti di un compagno di pratica, o di un figlio a cui riconosciamo il compito di farci da specchio, per confrontarci costantemente con lo spostamento, qualcosa o qualcuno, devono fornirci dei parametri per la misura di ogni fase del nostro movimento.

In realtà l’idea stessa d’infinito di Giordano Bruno per la sua struttura etico-logica si oppone al nichilismo, cioè la riduzione al niente del mondo (nota: l’infinito per Bruno è la coincidenza degli opposti, una totalità di cui tu non puoi determinare le singole parti e lui dice però questo infinito ha una struttura sia logica sia etica, non è il nulla, non è il niente questo infinito, è un infinito pieno, pieno di tutto.) C’è infatti una dinamicità nell’infinito di Bruno che ha il suo presupposto in questo dislivello di piani, tra privazione e pienezza, tra ombra e luce e che fa dell’universo bruniano un universo attraversato da un‘enorme carica di tensione, che è poi la tensione della vita materia infinita a prodursi infinitamente attraverso la vicissitudine. (Cioè questo infinito è costruito secondo un movimento continuo, una tensione continua, un bisogno continuo e polarità continue, che spingono la vita a realizzarsi, a prodursi e a farsi storia, storia di ognuno e di ogni cosa.). Distinguendo tra Dio e Universo, tra materie di cose superiori e materia di cose inferiori così Bruno scrive: quella è insieme tutto (la materia superiore) ed essendo che possiede tutto non ha in che mutarsi ma questa (quella inferiore) con certa vicissitudine per le parti si fa tutto che a tempi e tempi si fa cosa e cosa però sempre sotto diversità, alterazione e modo (è molto simile questo discorso ai nostri delle Upanishad, manifesto-immanifesto, non essere). Così dunque mai è informe quella materia come neanco questa, benchè differentemente quella e questa (cioè non c’è mai informe, nè sul piano diciamo delle idee, sul piano del non manifesto, né in quello invece materiale) –

Fischer dice anche la materia sottile noi la dobbiamo plasmare, cosa sta a significare - che non c’è informale, indistinto, ma anche nell’indistinto noi dobbiamo creare la forma e lo facciamo attraverso gli strumenti che ci diamo.

Così dunque mai è informe quella materia come neanco questa, benchè differentemente quella e questa, quella nell’istante dell’eternità, questa negli istanti del tempo. Quella insieme, questa successivamente, quella esplicatamente, questa complicatamente, quella come molti, questa come uno, quella per ciascuno e cosa per cosa, questa come tutto e ogni cosa (cioè anche la definizione dell’eternità che aveva dato, cioè che noi abbiamo la vita eterna nel momento in cui noi continuiamo per un attimo questa corrente essenziale), allora quella è la vita eterna.





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