scuola di ricerca spirituale

Insegnamenti

Mudra


Interroghiamoci sulla questione relativa alle forme. Da molto tempo cerco di individuare la relazione esistente tra la forma delle mani e il captare le frequenze attraverso le mani stesse, tra il percepire i punti energetici con le mani e il trasferire nelle mani le strutture corrispondenti, e, infine, il ‘fissare’ nelle mani specifiche configurazione energetiche. Mi chiedo anche se le mani fissino le esperienze e, pertanto, le strutture di qualsiasi natura, sia quelle di trasformazione e di elevazione sia quelle che reiterano precedenti passaggi esistenziali.

Attraverso le varie attività svolte, le mani si trasformano nel tempo, trattenendo la caratteristica dell’anima. Il mio modo di toccare, di entrare in contatto, il modo col quale il mio impulso passa attraverso le mani, sta a significare che nelle mani posso richiamare determinati impulsi e, sollecitando punti diversi delle mani, sono in grado di attivare parti profonde dell’essere, più profonde e immediatamente contattabili rispetto a quelle contattabili attraverso l’attivazione di un cakra. Il cakra, di fatto, è un cono spiraliforme molto largo, entro cui è contenuta una gamma di livelli ed esperienze possibili, mentre invece le mani hanno a che fare direttamente con emozioni specifiche che ci attraversano.

Quando le mani si muovono è importante osservare quale tipo di circuito attivano, è allora possibile mettere in relazione lo stato d’animo e lo stato mentale con il circuito stesso. La differenza tra un praticante occasionale e un ricercatore consiste nel fatto che il ricercatore è interessato a cogliere la presenza e la comprensione dei meccanismi. Ogni volta che facciamo un’esperienza si attiva un circuito più o meno complesso, stratificato, profondo, ma un circuito c’è sempre. Comprendere tale meccanismo-circuito è la nostra valvola di sicurezza. Potrebbe accadere che alcune esperienze siano talmente forti e coinvolgenti da spaventarci. Comprendere che ci sono circuiti cui stiamo dando forma e rinforzando mediante il corpo ci permette di interrompere il circuito in atto compiendo gesti che abbassino la frequenza.

Se riconosciamo l’esistenza di un principio che sta sopra ogni cosa, verso il quale possiamo soltanto mettere in atto la propensione ad andare verso, come si attuerà tale propensione nel nostro corpo? Questa è la domanda che ci guida nell’osservazione durante la pratica e non solo.

Ci sono forme che favoriscono la ‘progressione verso’ così come ci sono forme che la inibiscono, esistono, dunque, legami stretti tra forme gestuali e direzione: strutturare una posizione corporea e dare luogo ad una forma con le mani significa inibire o indurre un’introspezione a un livello specifico, e soltanto a quel livello. Il fatto che, per esempio, nello zazen si faccia dhyāna-mudrā con le mani significa una cosa precisa: mettere in atto un’osservazione e un’introspezione nel mondo circoscritto dalla forma delle mani. Una cosa che non riuscivo a comprendere era come mai persone che praticavano da lungo tempo lo zazen non avessero mai fatto un’esperienza mistica di estasi, di astrazione, di proiezione verso l’alto. Ma è chiaro! Si mantengono psichicamente nello spazio rappresentato con le mani, e non può che essere così. In quell’ambito vi è un silenzio, una pace, una chiarezza, una lucidità, una stabilità bellissime, perché lì (nella mudrā delle mani) tutto è stabile. Ma è stabile e basta, è silenzioso e basta, è cheto e basta: è l’argine.

Sia ben chiaro che non sto criticando questa forma meditativa, sto dicendo che vi è un significato nelle forme, e che determinate forme portano a un’esperienza corrispondente, solo a quella, o principalmente a quella.



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